Il ciclismo è una passione legata alla mia adolescenza: ho goduto della bicicletta in modo “libero” fin dall’età di 10 anni e a 12 me ne hanno regalato una da corsa.
Vivevo all’estero e seguivo il Tour de France alla radio: ricordo come fosse oggi la domenica pomeriggio del 1960 in cui Rivière, cercando di inseguire uno scatenato Nencini (che poi vinse il Tour) lungo la discesa del Col du Perjuret, cadde rovinosamente in un burrone.
Fu un episodio triste ma la vittoria di un italiano inorgogliva me, ragazzo che viveva all’estero. Non ho mai svolto attività agonistica ma io e la bici da corsa non ci siamo mai lasciati.
Ho conosciuto Drali nel lontano 1986, attraverso un collega di lavoro e, da allora, ho potuto frequentare un personaggio molto singolare almeno una volta a settimana, per circa 35 anni;
ho posseduto un gioiellino su due ruote, uguale a quello dei campioni. E, non ultimo, ho partecipato alle gare “storiche” con la maglia Drali, momenti indimenticabili insieme ad altri amici.
Per me la
è snella, elegante e solida e significa eccellenza e accuratezza nella costruzione. Anche, ma non solo, perché nelle sue congiunzioni ci sono i semi delle carte da gioco, gli stessi che caratterizzavano quelle del telaio di Fausto Coppi.